Simone Bruscia

24.03.2014 23:49

Il primo dei nostri appuntamenti prevede un incontro col direttore della prestigiosa rassegna biennale “Premio Riccione per il Teatro”,  Simone Bruscia. La kermesse riccionese, la cui giuria, presieduta dal 2009 da Umberto Orsini, che vanta tra i suoi membri personalità di spicco come Alessandro Gassman e  Isabella Ragonese, è stata istituita nel 1947 ed il primo vincitore fu un allora giovanissimo debuttante: Italo Calvino.

Oggi, il Premio Riccione per il Teatro, rappresenta un riconoscimento di assoluto rilievo nel panorama del teatro e della cultura.

Incontriamo il Dr. Bruscia in una saletta del Palazzo del Turismo di Riccione. Classe 1977, ha un curriculum da “veterano”. Da più di dieci anni organizza e produce progetti culturali e teatrali ai quali hanno partecipato nomi di assoluto rilievo nel panorama artistico e culturale nazionale ed internazionale (da Alda Merini, a Edorado Sanguineti, da Stefano Benni a Daniel Pennac, da Vinicio Capossela a Gianmaria Testa).

Inizia la nostra conversazione:

 La cultura è uno dei capisaldi dell’economia italiana, eppure si parla di questo solo marginalmente, nei vari programmi politici. Come mai non si pensa a dare una maggiore profondità ad una risorsa così importante?

Su argomenti come turismo e cultura siamo stati abituati  ad accettare  dei luoghi comuni, come quando ad esempio diciamo che in Italia abbiamo il 70% del patrimonio artistico e monumentale. In realtà, oggi, viviamo di rendita grazie alle magnificenze artistiche dei secoli scorsi raccolte in tante  nostre città-scrigno.

 Se poi  (e questo è il dato più grave), capita di vincere  un Oscar con un film come “La grande Bellezza”, dove in verità a venir fuori è la solita italietta,un fumettone  dove ci dipingiamo all’estero  come quella nazione ricca di festini a base  di cocaina, beh, non è certo  questa l’Italia reale. Però, c’è questo gigantesco  luogo comune  che accampa sulla nostra Italia e che non riusciamo a debellare. Tutto ciò, mentre, in questi due secoli, il mondo è andato avanti. Non possiamo dire che nel novecento, a livello culturale,  Roma abbia inciso come New York o Parigi, perché sono quelle le capitali culturali e artistiche dei nostri anni. Questo è secondo me il motivo per cui non aggiorniamo una politica di respiro internazionale sul turismo e sulla cultura e ci troviamo sempre costretti a rincorrere il mondo che cambia e va avanti

 

Il Diritto d’Autore (che in Europa  ha un contorno ben definito sia dal punto di vista legale, che da quello dell’utilizzo da parte di terzi) in Italia è continuo oggetto di strumentalizzazioni, da parte di varie associazioni e raggruppamenti politici. Perché, secondo lei, non si riesce ad identificare in maniera corretta il valore e l’importanza di tale inalienabile Diritto?

Oggi il patrimonio immateriale delle idee muove tutto, perché è quello che fa la differenza, anche su scala mondiale.  Se guardiamo i programmi culturali che vengono intrapresi dall’Europa, una delle parole chiave è “creatività”, anche nelle leggi. Il patrimonio creativo è la forma necessaria, più nuova, per parlare oggi anche di economia e di politica. Diventa assolutamente primario che tutti abbiano la consapevolezza di tutelare questo patrimonio di idee e creatività che sono il fulcro del nostro presente e, soprattutto, del futuro. In Italia, questo concetto è ancora poco approfondito. E, mi ricollego a quanto detto prima, se non mettiamo al centro le idee e la creatività, non riusciremo mai a stare al passo con i tempi, soprattutto in un confronto con altri stati. Oggi in ogni settore, chi ha l’idea, vince. A pensarci bene,  in quest’ottica,  la Siae potrebbe essere uno degli strumenti più innovativi  possibili, perché ruota proprio intorno alla tutela dell’idea e della creatività.

 

Si è mai chiesto perché il diritto all’equo compenso da alcuni viene chiamato tassa? Perché non sono chiamate “tasse” i compensi di medici, ingegneri, avvocati, meccanici, idraulici?

In Italia purtroppo  manca anche questa coscienza ed è un fortissimo limite culturale al quale, è legata  ad un’altra problematica: chi fa il lavoro  dell’artista, del musicista,  dell’attore,  svolge professioni che, in Italia, non hanno mai avuto una vera istituzionalizzazione. Se non sei uno che passa in televisione, sei definito un “perdigiorno”. Io sogno che queste categorie trovino una collocazione ben definita nel mondo del lavoro ed un giusto riconoscimento professionale. In questo odo anche il Diritto d’Autore verrebbe percepito dalla massa in maniera differente e con la giusta considerazione.


 


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